Logo Driade Spa

Driade Spa

Via Padana Inferiore 12
29012 Fossadello di Caorso (Piacenza)
Italia
  +39 0523818650
  
  sito web
INFORMAZIONI SU Driade Spa

La Driade è nata nel '68, alcuni decenni fa. È nata in epoca in cui si sviluppavano le tendenze che hanno caratterizzato il secolo XX: da un lato il rigore dell'astrattismo geometrico e del design razionalista; dall'altro la ripresa della figurazione con la pop art e le relative influenze sul pop e sul radical design. Oggi il panorama del design è molto diverso, si colloca nella globalizzazione e nella digitalizzazione onnipervasiva.
Per capire la Driade, è bene visitare la sua sede a Fossadello, vicino a Piacenza. Ci sono stato spesso in anni passati ma non ci tornavo da tempo. Vederla mi ha aiutato a capire cosa possa essere un "Laboratorio estetico" (come la Driade ama definirsi) in questi inizi del XXI secolo. Per la visita, è utile muoversi lungo il percorso centrale che attraversa l'edificio, segno nitido e rigoroso, promenade architecturale sulla quale affacciano uffici e sale finemente arredati con mobili Driade. Fino al grande ambiente scandito da pannelli fotografici del parco del settecentesco castello di Würzburg in Germania: un giardino d'inverno immerso in un tempo sospeso.
Tutto mira a costruire un'atmosfera di sottile estetismo, in cui le strutture razionalmente geometriche dell'edificio, le scaffalature a parete di legno o metallo, permettono di accogliere liberamente arredi che hanno segnato gli ultimi decenni di sviluppi del design: da oggetti come la Melaina di Bonetto (mi è capitato di rivederla sfogliando il catalogo sulla mostra che Emilio Ambasz curò nel 1972 al Moma di New York, "Italy: a new Domestic Landscape") o la Due Cavalli di De Pas, D'Urbino, Lomazzi attraversando, con i progetti di Antonia Astori, Nanda Vigo, Enzo Mari, Philippe Starck, Oscar Tusquets, Borek Sipek, Tokjujn Yoshioka, Kazuyo Sejima, Ron Arad e tanti altri, più di quarant'anni di storia. Fino ad artisti come la cinese Xie Dong e l'indiano Mann Singh.
"Laboratorio estetico", si diceva, e in questo senso la sede rende perfettamente l'idea che la sottende: creare un'immagine complessiva dove tutto concorra a definire un'opera d'arte totale, una wagneriana gesamtkunstwerk, alla quale partecipino architettura, arredi, oggetti, suppellettili, tessuti, tappeti, nei cui spazi si incontrino designer, fotografi, grafici, web designer, gli addetti alle varie funzioni aziendali e così via. Il tutto riporta alla memoria l'idea del granduca Ernesto Luigi d'Assia quando chiamò nel 1899 l'architetto della Secessione viennese Joseph Maria Olbrich a progettare la "Colonia degli artisti" di Mathildenhöhe a Darmstadt: con edifici di Olbrich stesso e, tra gli altri, del giovane Peter Behrens. E fu proprio Behrens a dare di Darmstadt la definizione più acuta: "festa della vita e dell'arte". Doveva accogliere artisti, architetti e designer in una sede che simbolizzasse l'idea stessa della ricerca estetica che vi si sarebbe dovuta sviluppare, tesa alla promozione delle arti applicate in Germania attraverso la progettazione e la produzione di arredi e oggetti da proporre poi alla vendita.
Con Mathildenhöhe si era ai primi anni del Novecento, oggi siamo agli inizi del XXI secolo: si è estinta l'età delle avanguardie, razionalismo e espressionismo, geometrie e figurazioni, contrapposizioni che hanno caratterizzato il design del secolo scorso sono se non scomparse certo molto scolorite e in ogni modo hanno acquistato senso diverso. Il carattere di questa fase appare segnato dalla molteplicità dei linguaggi che, come nell'arte, rendono difficile definire tendenze o parentele linguistiche. Una molteplicità di autori, non sempre facilmente valutabili e non tutti del tutto condivisibili, concorrono a formare i nuovi tempi, questo secolo caratterizzato nell'arte e nel design dal pluralismo, dalla molteplicità dei segni, dagli "idioletti" come Roland Barthes definiva gli usi linguistici propri di un singolo autore. E il "Laboratorio estetico" della Driade è del tutto attuale in questo nuovo XXI secolo e nel suo pluralismo, continuando a inseguire il sogno della "festa della vita e dell'arte".Vanni Pasca